22 novembre 2008

Arrestati, torturati, uccisi

Cari lettori,
più di 600 autori in tutto il mondo vengono torturati o sono in carcere. "Writers in prison" (scrittori in prigione) è una commissione instaurata nel 1960 dall'associazione International PEN. Questa commissione è composta da un gruppo di esperti che monitorano i migliaia di casi di attacchi contro autori, giornalisti, editori, poeti ed altri scrittori in tutto il mondo. La rivista tedesca "Die Zeit" (Il tempo) ha pubblicato un'intervista a Katja Behrens, rappresentante in Germania della commissione "Writers in prison". Sentiamo cosa dice:

DIE ZEIT: Signora Behrens, lei rappresenta la Writers in Prison qui in Germania. Da anni lei lavora per aiutare scrittori perseguitati o in prigione. Può darci qualche cifra a riguardo?

KB: Le cifre variano. Nella prima metà di quest'anno sono stati 658. Alcuni di loro sono stati uccisi.

DIE ZEIT: In quali paesi si riscontrano più casi?

KB: In Cina molti sono messi in prigione. Anche in Turchia, Cuba e Birmania.

DIE ZEIT: Per quali ragioni?

KB: Bisogna innanzitutto fare una distinzione fra la ragione dichiarata dal governo e quella reale. Ad esempio in Cina, quando arrestano uno scrittore, dicono di averlo fatto per la sicurezza nazionale. Spesso la persona in questione ha solamente scritto un testo sulla storia del Tibet.

DIE ZEIT: Ed in Turchia?

KB: La ragione principale è la violazione dell'articolo 301, "offesa contro lo stato". Il più delle volte si tratta di uno scritto sul genocidio degli Armeni.

DIE ZEIT: Cosa possono fare gli scrittori in questione?

KB: Niente! Sono in prigione, vengono torturati, a volte sono molto malati e vengono lasciati morire. In Cina molti sono nei cosiddetti "campi di rieducazione". Spesso non ci si rende conto che questa è una dittatura. Le celle non sono così comode come qua. In paesi dove le persone vengono condannate per aver scritto qualcosa di scomodo, non usano i guanti di velluto.

DIE ZEIT: Cosa può fare la vostra organizzazione?

KB: Abbiamo 50 centri in tutto il mondo. La sede è a Londra ed è lì che convergono tutte le informazioni su scrittori perseguitati. Una possibilità che noi abbiamo è quella di informare l'opinione pubblica. Quando in 50 paesi diversi vengono pubblicate informazioni sulla persecuzione di un certo scrittore, al governo dello stato interessato ciò non piace.

DIE ZEIT: Quindi, cosa succede?

KB: Il governo cerca di contrastare questa attenzione negativa, ad esempio, con un alleviamento della pena. A volte, smettono di torturarli. Oppure viene fatta girare la voce, come nel caso del cinese Shi Tao, che l'autore in questione è libero e non è più scrittore da tempo. Queste voci non confermate arrivano poi anche qui in Germania.

DIE ZEIT: Siete riusciti ad avere qualche successo?

KB: Lo scrittore tibetano Dolma Kyab è in un campo di rieducazione. Rendendo pubblico il caso, abbiamo almeno fatto in modo che non debba più svolgere lavoro fisico. Tuttavia, non l'hanno rilasciato.

DIE ZEIT: Cos'altro potete fare?

KB: Per noi è anche importante aiutare economicamente le famiglie degli scrittori perseguitati. As esempio, a Cuba alcune di queste famiglie sono molto povere. Anche in Turchia ciò è molto importante.

DIE ZEIT: So che coinvolgete gli studenti nel vostro lavoro.

KB: Si, ho informato gli studenti dell'università di Gießen sulla persecuzione di scrittori. All'inizio, erano studenti di anglistica e germanistica. Se riusciamo a coinvolgere le università, l'attenzione pubblica verso i detenuti si allarga ancora di più. A Gießen, gli studenti hanno reagito subito, appendendo manifesti, distribuendo volantini, producendone anche dei propri e contattando anche altre università. Questa risonanza ci fa essere ottimisti.

DIE ZEIT: Quest'anno la fiera del libro di Francoforte ha ospitato la Turchia, prossimo anno sarà la volta della Cina. Perché si è discusso così poco di questo argomento alla fiera?

KB: Semplicemente perché il problema non viene percepito. Nell'ambiente letterario tedesco se ne parla molto raramente. Peccato. La mia opinione è la seguente: chi vuole leggere deve anche pensare a coloro che non possono scrivere.

DIE ZEIT: Quindi queste fiere pubbliche hanno una certa responsabilità?

KB: Penso di si. Per questo motivo sarà molto importante informare prossimo anno la gente sulla situazione attuale in Cina. Certamente non bisogna anche dimenticare che in una fiera sono in gioco degli interessi economici. Quindi, se si vuol fare in modo che l'argomento venga affrontato alla fiera del libro, difficilmente si può contare sui dirigenti della fiera, magari sui lettori o forse su quelle librerie o anche singole case editrici che sono disposte a mettere da parte i loro interessi economici e a richiamare l'attenzione del pubblico sulla condizione degli scrittori in Cina.


Tratto da:
Verhaftet, gefoltert, ermordet, di David Hugendick
su
Zeit Online, 14 Novembre 2008

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